Stasera sto scrivendo la recensione di un film in un angolino buio, con la paura di svegliare qualcuno. Lo sto facendo perché, con la presunzione di aver capito un po’ il film, voglio sentirmi vicina alla spontaneità di condividere un’emozione irripetibile : l’occhio dello spettatore che si fonde con la situazione del film.
In una Napoli bella e che pullula di veridicità, Martin Eden, marinaio e uomo di viaggio ignora una realtà differente dalla sua fin quando non incontra, per caso, un giovane borghese.
Quasi accidentalmente egli sfiora con i polpastrelli un libro di Baudelaire ed è subito amore. Martin s’interroga sul proseguio dei suoi studi, su come si possa raggiungere un grado di istruzione adeguato. Inutile evidenziare la beffa iniziale che non prevede minimamente una sorta di ‘acculturazione sistemica’ di un individuo di popolo che vive nella precarietà e nella miseria.
Ma le notti insonni, la voglia di sfogliare e accumulare libri, non permettono mai al giovane Eden di abbandonare la strada dell’istruzione. Egli si sente schiavo di due mondi: il mondo borghese che lo deride e scaccia e il mondo popolano che reputa i libri una perdita di tempo e poco avverso alla creazione di capitale.
Il film
Martin Eden decide subito di voler diventare uno scrittore; scrive, corregge, si destreggia fra versi crudi e dolorosi esattamente com’è la realtà che egli affronta. Meravigliosa la fotografia in cui i volti donano un’armonia e una sensazione lontana di fatica. Belle le inquadrature di Elena che mi hanno riportato agli anni in cui apprezzavo la nouvelle vague di Truffaut e Godard. Non so se ho volutamente credere ad un sogno, ma la poesia romantica e amorosa tra i due personaggi mi ricorda diversi personaggi interpretati da Anna Karina.
Bello il messaggio di cultura, l’incoraggiamento a un avvenire costruito sulle umane passioni e il significato di una lotta costante sul capitale che s’insinua anche tra i buoni propositi delle organizzazioni sociali.
Il messaggio finale mi ha riportato a un concetto che in Sociologia riteniamo banale quanto efficace: tutto si erge sulla base della costruzione sociale. Anche la guerra, quella devastante e velenosa, viene raccontata con l’inganno; chi vive, purtroppo nella povertà, continua a vivere allo stesso modo e i volti di noncuranza finali mi hanno trasmesso un forte senso di inquietudine. Bellissima, ancora una volta, la napoletanità della regia di Pietro Marcello che ha saputo donare allo spettatore una narrazione unica.
Non ho parole.