E’ difficile parlare in modo sintetico dei film. Solo da qualche tempo ho deciso di dedicarmi alle recensioni legate al cinema, una delle mie più grandi passioni. Vorrei interagire diversamente, perché parlare di film è come stabilire un’interazione continua. Ma proverò comunque a giustificare questo mio intervento incitando gli affezionati del blog a recuperare uno dei migliori film visti negli anni.
Trama:Grazie alla falsificazione di alcuni documenti, il primogenito di una famiglia povera che vive di sussidio di disoccupazione riesce a trovare lavoro come insegnante privato della figlia di una coppia ricca, evento che darà vita a una serie di conseguenze inaspettate, tra commedia e tragedia.
Perché proprio Parasite? Il mio punto di vita di partenza è legato più che altro alla scarsa attenzione verso il cinema orientale che ha avuto su di me sempre un’impronta culturale importante. Perché la cinematografia difficilmente parla di società con maestria e perché sono rimasta veramente molto sorpresa dall’intera narrazione.
La regia di Bong Joon-ho ha suddiviso due tematiche cruciali: ciò che riusciamo a vedere ed è molto consentito e ambito e ciò che difficilmente vediamo inteso come subalterno. Parasite è la storia di una famiglia che non ha altre alternative se non arrampicarsi nell’attesa di costruire un futuro migliore per sé. Ma non è semplice ipotizzare di metter su un mega congegno nel quale ogni membro famigliare offre il proprio contributo per la buona riuscita della mobilitazione. Quando seguiamo i protagonisti visti nella prospettiva, altra rispetto a ciò che riteniamo ricco, possiamo cogliere tutti quei dettagli importanti che sembrano superflui. Ognuno di loro, a turno, riesce a recitare una commedia aspra tanto sentita quanto vissuta. In definitiva, anche l’inaspettato che sconvolge i piani iniziali rientra nella bellezza dell’esistenza.
Ho apprezzato di Parasite la fotografia. Mi rendo conto che si tende a dire sempre così, quando si vuol apparire un po’ intellettuali o cinefili 2.0, ma è la sincera verità. E’ difficile trovare in una narrazione contemporanea una rappresentazione talmente efficace da far comprendere, solo attraverso sguardi e immagini, un’intera narrazione. All’inizio i protagonisti sembrano essere presi nei congegni da loro ideati.
Questa famiglia sembra essere uscita da un romanzo di Dostoevskij in cui si ha la percezione di passare continuamente da alto a basso. Una differenza con il “sottosuolo”.